DI GIULIA BARTOLI E GIADA BREVIGLIERI
Nelle scorse settimane, alcune classi del Liceo hanno avuto l’occasione di incontrare Susanna Basso, traduttrice del romanzo “Klara e il Sole”. I ragazzi hanno potuto rivolgerle domande sulla trama e sul processo di traduzione dell’opera.
Ciò che ha accompagnato il suo lavoro è stato un sentimento di “commozione ferma”, dovuto alla condizione della protagonista, Klara. Quest’ultima è un umanoide, il cui ruolo consiste nel servire e accompagnare una bambina, Josie, dedicandosi interamente a lei . La sua estrema empatia la rende insopportabilmente umana, lontana dal mondo falso e cinico in cui si svolge la vicenda. Proprio attraverso queste caratteristiche di Klara, viene introdotta una delle tematiche centrali della narrazione: la maternità, esplorata nelle sue diverse sfaccettature a seconda dei personaggi che incontriamo nella vicenda. Paradossalmente è Klara stessa che riveste il ruolo di madre in maniera più compiuta/autentica di quelle umane; il suo amore è puro e totalizzante, nonostante la solitudine a cui sarà condannata quando terminerà il suo percorso con la sua amica umana.
Ancora più spiazzante è il racconto dal punto di vista del robot: l’ingenuità che caratterizza le sue riflessioni e la meccanicità delle descrizioni facilitano l’immedesimazione del lettore, ma la resa di ciò ha causato particolari difficoltà alla traduttrice con i termini tecnici.
“Tradurre è un lavoro di pace, un continuo negoziato tra due mondi diversi”
Con la sua esperienza decennale ha reso interessante l’atto di rendere il testo dalla lingua originale, registrando l’evoluzione dello stile e l’inevitabile fallimento della versione tradotta. A suo dire, in ogni traduzione vengono meno la “magia” della narrazione e la sua essenza, nonostante ciò tradurre è come costruire una sorta di ponte tra due culture differenti e la comunicazione è la chiave per evitare gli scontri tra popolazioni.