– di Uigden Nabili –

Il 29 gennaio gli alunni dell’Aldo Moro hanno avuto l’opportunità di incontrare l’autrice del romanzo Ciò che nel silenzio non tace

Questo incontro ha offerto agli studenti la  possibilità di esplorare il libro attraverso gli occhi dell’autrice, permettendo loro di chiarire ogni dubbio o curiosità. Capire il processo creativo del romanzo, ha permesso di rendere più profonda la sua comprensione.

Martina Merletti ha dato vita ad una storia straordinaria, tratta da luoghi e personaggi autentici, ma opera della sua creatività e determinazione.

Scrivere un libro, infatti, è tutt’altro che semplice, per lei ci sono voluti cinque anni di continue bozze, ripensamenti e ricerche approfondite. 

Martina Merletti è sempre stata una persona curiosa, ha sempre nutrito grande passione per la lettura, d’altronde come lei stessa ha sostenuto, una persona che scrive è anche una persona che legge.

Guidata dalla sua passione per le discipline umanistiche, ha scelto di frequentare il liceo classico, ma successivamente ha intrapreso studi in scienze politiche e poi agraria, percorsi che però, non rispecchiavano la sua vera natura. Dopotutto non riusciva più a fare ciò che le piaceva veramente: leggere e scrivere.

A portare una svolta nella sua vita è stata la decisione di sostenere il test d’ingresso alla scuola di scrittura Holden, a Torino, dove è stata ammessa.

Poco tempo dopo, ha vissuto un’esperienza che l’ha segnata a tal punto da spingerla a scrivere un libro, ovvero la visita al museo delle Nuove a Torino. Da qui è uscita con il peso delle emozione che aveva vissuto e delle storie che aveva ascoltato, ambientate tra quelle mura che in qualche modo le avevano comunicato qualcosa. Proprio come Teresa, uno dei personaggi più affascinanti del romanzo, Martina Merletti ha sentito il bisogno di liberare i pensieri che teneva nascosti dentro di sé.

Nella stesura del suo romanzo, l’autrice ha sempre voluto mantenere una certa coerenza nei contenuti e nel processo di costruzione dei personaggi.

Ciò è particolarmente evidente nel personaggio di Suor Giuseppina, realmente esistito. Suor Giuseppina de Muro gestiva il braccio femminile nelle carceri e decise di usare il suo potere per separare attraverso recinzioni il braccio femminile da quello maschile, aiutando così le detenute, che spesso venivano abusate.

Martina Merletti ha cercato di ricostruire questo personaggio nella maniera più fedele possibile all’originale, attenendosi alle informazioni che aveva sentito e ricercato su di lei.

Inoltre, laddove c’erano personaggi di finzione, ha creato anche paesaggi frutto della sua immaginazione, in modo da non disorientare i lettori.

Dietro ad ogni personaggio c’è un grande lavoro di ricerca e adattamento, infatti dare voce ad un personaggio non è semplice per chi scrive. Fare lavori di ricerca e raccogliere continue documentazioni, oltre ad aver permesso alla scrittrice di non essere mai sola nel percorso di scrittura, ha rappresentato per lei fonte di continua stimolazione.

Teresa è stato il personaggio che Martina ha preferito scrivere, nonostante fosse quello apparentemente più lontano da lei. L’autrice sostiene che in tutti noi vive una “piccola Teresa”: “quella parte che tenta di orientarsi nel mondo e di discostarsi da ciò che viene detto sul proprio conto.”

Dare voce ad Aila, invece, è stata una delle più grandi difficoltà che ha riscontrato nel percorso di scrittura, nonostante la sentisse vicina per quanto riguarda l’età e il disorientamento che ha dovuto affrontare. Per superare questo ostacolo ha provato ad immaginare di girare la scena con una telecamera, proprio come aveva fatto con il prologo.

“Ciò che nel silenzio non tace” ha un’inclinazione diversa per ogni personaggio, molti rapporti come quello tra Gilberto e Daniela, hanno risentito del “non detto”. Le vite dei personaggi sono continuamente influenzate dal passato, che irrompe senza preavviso. Proprio per questo, l’autrice ha deciso di mantenere la complessità della realtà, alternando presente e passato.

Leggere questo libro è come mettere insieme i pezzi di un puzzle, dove anche la mancanza di un singolo pezzo ne comprometterebbe la costruzione.

Particolare, in questo romanzo, è la presenza di espressioni in piemontese, il quale rappresentava un elemento fondamentale  per il luogo in cui è ambientata la storia, dove l’autrice stessa ha vissuto. La mancanza di questa caratteristica nuocerebbe alla credibilità del racconto stesso. Inoltre, la descrizione dettagliata dei paesaggi è frutto dell’esperienza stessa di Martina che per molto tempo ha vissuto in campagna insieme alla nonna, nelle zone che fanno da sfondo alle vicende.

Per quanto riguarda l’editing, l’autrice ha scelto la casa editrice Einaudi, ella stessa ha sostenuto che l’editor riuscì a darle fiducia, facendo emergere tutte le sue potenzialità e permettendole di vivere intensamente questa esperienza indimenticabile.

Una cosa è certa, in questo romanzo non troverete eroi o eroine, ma solo personaggi che nascondono un mondo dentro di sé, ancora inesplorato e che non sarebbero come sono se non fosse stato per le persone che hanno incontrato e i luoghi dove hanno vissuto.

Di WeMoro

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