Disclaimer: l’intervista è stata sottoposta a revisioni per renderla più accessibile al pubblico. Le risposte dei due attori saranno considerate come una sola per comodità.

Ciao a tutt*! Qui è WeMoro che vi parla! Nei mesi scorsi, la Faber Teater, compagnia teatrale di Chivasso, ha portato in scena la conferenza-spettacolo “Cambiare il clima”, nell’oratorio di San Michele a Rivarolo Canavese. Lo spettacolo fa parte della rassegna teatrale “UnaVoltalMese (quasi)” 2023-2024, curata dalla stessa compagnia.

Una delle repliche era riservata agli studenti della nostra scuola. Marco Gallareto ha intervistato i due attori-ingegneri Sebastiano Amadio e Marco Andorno.

Siete attivi nel settore teatrale da 27 anni: come è iniziata la vostra carriera? Miravate solo al teatro o volevate fare fin da subito divulgazione scientifica come fate ora? E chi vi ha ispirati?

Noi siamo nati all’interno di una scuola superiore, noi siamo nati da un laboratorio teatrale che si faceva nel liceo di Chivasso e che noi abbiamo seguito come allievi quando facevamo il liceo (di anni diversi, in classi diverse). Ci trovavamo in questo laboratorio di teatro, ch’era tenuto da un professore del liceo, e all’epoca nessuno di noi si immaginava che sarebbe diventato una professione o un lavoro” 

Vabbè… penso neanche noi qui!

Quando poi abbiamo finito il liceo abbiamo continuato a fare teatro. Abbiamo fatto l’università, ciascuno in facoltà diverse. Siamo ingegneri ma poi abbiamo… Paola è laureata in in lingue, Ludovico è un architetto, Francesco un filologo e, facendo l’università abbiamo continuato, come attività così come hobby, a fare teatro. Quando abbiamo finito gli studi, ci siamo guardati intorno… in faccia e ci siamo detti: “proviamo a farlo diventare un lavoro” e da allora facciamo questo come lavoro. Per cui da una parte c’è la passione per il teatro ma, nel caso mio e di Sebastiano, l’interesse per le materie scientifiche/tecnologiche viene anche da lì, da un percorso di studi che abbiamo fatto. 

Quindi, sulla seconda parte della domanda, sulla divulgazione scientifica… è qualcosa che è arrivato dopo, quando siamo diventati professionisti e abbiamo voluto portare il bagaglio del nostro percorso di studio “a uso e consumo” però di un mezzo di comunicazione come il teatro. 

È impressionante, quindi, passare da una semplice sala di un liceo addirittura a una laurea in ingegneria e costruire numerosi progetti con la DIATI del Politecnico di Torino. Come ci siete riusciti? 

Il lavoro col DIATI [Dipartimento di Ingegneria dell’ambiente, NdR] è nato, come spesso capita in queste cose, un po’ per caso: attraverso uno spettacolo teatrale in cui eravamo in scena io e Sebastiano, e il terzo attore dello spettacolo era un piccolo robot che si chiama Nao, con cui abbiamo fatto tutto lo spettacolo. 

Ruotava intorno all’intelligenza artificiale, alla robotica al rapporto uomini-tecnologia. Alcune persone del Dipartimento di Ingegneria dell’Ambiente hanno visto questo spettacolo e ci hanno chiesto se eravamo interessati a una collaborazione. Da quello scambio è nata l’idea di realizzare lo spettacolo “Cambiare il clima”. 

Anche quella del vostro Moving Lab, con cui vi spostate in ogni dove per i vostri esperimenti? 

Noi abbiamo seguito gli esperimenti del DIATI da osservatori e, per conto del pubblico,  s’è cercato di capire che cosa loro fanno, quali sono i loro esperimenti per poterli raccontare,  poterli filmare e costruire lo spettacolo. Per cui il nostro  è stato un lavoro più di osservazione e di racconto. 

Dopo aver messo in scena questo spettacolo nelle scuole come la “Aldo Moro”,che rappresento, quali sono stati i feedback che avete ricevuto da parte degli studenti? 

Molti, alcuni legati all’argomento che sicuramente fa nascere delle domande sul futuro: che cosa potrà succedere al nostro futuro? Che cosa possiamo fare? Come si può porre la scuola rispetto alla questione? Una delle risposte era che già esistono, al di là del nostro spettacolo, molte “fonti” d’informazione alle quali si può accedere: l’insegnante che vi ha portati a vedere lo spettacolo già ha fatto un’azione nella direzione giusta. E per voi il fatto che se lo sentite particolarmente vicino può essere un investimento sul futuro a livello di conoscenza, cioè i percorsi di studio che sceglierete magari cominceranno a essere attinenti a questo argomento per creare conoscenza nuova oppure potranno avere un peso anche dal punto di vista politico: dicevamo con le classi quarte che l’anno prossimo, anzi, per qualcuno già questa primavera,  si voterà per la prima volta e  quindi si potranno analizzare i programmi delle varie proposte politiche e verificare quali prendono in considerazione questo elemento e lo mettono in cima ai programmi. Questo può essere un modo per decidere quale programma politico scegliere, ecco. Quindi le azioni sono varie…

Bene, ho capito. Ma quindi quale nesso mettete in luce tra tecnologia, politica e le scelte individuali nelle vostre opere?

Dunque, in questo lavoro qui ci sono due aspetti diversi: 

da una parte c’è l’approccio degli ingegneri che, per “statuto”, è un approccio tecnologico e scientifico, tecnologico perché alla ricerca di soluzioni tecniche, di strumenti che la tecnologia può mettere in campo per risolvere il problema,  per misurare, per comprendere i fenomeni e, appunto, ritrarre la direzione dell’andamento e della mitigazione, come raccontiamo nello spettacolo. 

Quello che abbiamo cercato di fare rispetto a questo, che era il focus ovviamente del politecnico, è stato di allargarlo un po’ anche a quello che potrebbe fare, che può fare, o che sta cercando di fare la politica, fino  all’immaginazione di altri mondi possibili , e questo rimane un campo aperto!  Ma è un grande compito del teatro anche aiutare le persone a immaginare che cosa potrebbero fare e come potrebbe essere organizzato diversamente il nostro mondo. 

Ed ecco quindi spiegato come mai avete scelto questo come mezzo di comunicazione efficace.

Volevo, però, tornare per un attimo allo spettacolo di ieri a cui hanno assistito ben 250 ragazzi del liceo “Aldo Moro”.  Ricordo che al termine dello spettacolo gli spettatori vi chiesero qualcosa tipo: “quanto tempo resta all’umanità?”. Cosa rispondereste? Così lo facciamo sapere i nostri lettori… 

Di nuovo, la questione è che “non c’è un termine, né tantomeno lo definisce la scienza”, dipende… Insomma, l’umanità potrebbe estinguersi perché il cambiamento climatico o i cambiamenti in generale che succedono ormai a livello globale spostano equilibri di forza tra stati e a seconda degli atteggiamenti che si utilizzano per risolvere i conflitti. La fine del mondo può arrivare semplicemente perché qualcuno ha voglia di eliminare chi la pensa diversamente. A quel punto il cambiamento climatico è solo una scusa, ma il fatto che finisca l’umanità non è legato solo al cambiamento climatico,  ma alla reazione che l’umanità mette in gioco. Questa era davvero una domanda alla quale era un po’ complicato saper rispondere!

Confermiamo che non c’è una deadline! Si spera che che le nuove generazioni siano in qualche modo più attente. Non voglio usare il termine “saggezza”, però vorrei fossero più connesse alla realtà delle generazioni che le hanno precedute. E quando parlo di “realtà” intendo dire “più globale”, non che si curino solo del proprio orto e del proprio interesse. Questa è l’unica cosa che mi sento dire. 

Bene! A questo punto che cos’altro bisogna chiedere? Che idee avete per i prossimi spettacoli? Io ne avrei una da proporvi, anche se non me ne intendo granchè di teatro o di cambiamenti climatici. Per me sarebbe una grande idea realizzare uno spettacolo a tema Overshoot Day, ovvero il giorno in cui l’umanità esaurisce le risorse idriche, alimentari ecc. che la Terra aveva prodotto naturalmente nel giro di un anno. Che cosa ne pensate? 

Beh, adesso ci va, ma dobbiamo pensarci un po’. La risposta lampo non la saprei,  ci possiamo ragionare. Ci sono tante cose, ovviamente, che abbiamo letto per preparare questo spettacolo, anche romanzi e racconti di quel filone di fantascienza che si occupa del cambiamento climatico e che è molto interessante. Molti autori hanno scritto e immaginato scenari e storie più o meno apocalittici seconda, con diverse declinazioni dei possibili futuri più o meno distopici legati alle conseguenze del cambiamento climatico, una letteratura davvero molto interessante. Infatti, anche quando lavoravamo allo spettacolo, ogni tanto ci siamo chiesti se poteva entrarci qualche parte di qualche storia letta. Poi la scrittura è andata in direzioni diverse… comunque ci appuntiamo  il tuo suggerimento.

Quindi… potreste riassumerci in poche parole che nesso potrebbe esserci tra il cambiamento climatico e un Overshoot Day, pericolo che ogni anno si fa sempre più ravvicinato ? Negli ultimi tempi, ad esempio,  è capitato addirittura alla fine di maggio  e solo il lockdown era stato capace un pochino di ritardarlo, spostandolo a luglio. Diteci la vostra!

Dunque, rispetto a certe notizie è sempre difficile trovare un equilibrio nelle risposte, cosa che noi cerchiamo un po’ di fare nello spettacolo come nella vita reale. 

Ci muoviamo tra il comunicare informazioni e non suscitare troppa angoscia: su questo ultimo aspetto ci scherziamo anche durante lo spettacolo, cercando un modo di comunicare le cose che non blocchi però l’azione, cioé che non abbia come effetto quello di dire “vabbè, allora se non c’è più niente da fare, è inutile provarci”. 

Anche perché, come dire, l’overshoot day è un modo di nuovo anche lì di comunicare un po’ sensazionalistico, no? Per attirare l’attenzione. Dipende sempre da che cosa vogliamo raggiungere, quali sono gli obiettivi . Da alcune osservazioni dopo lo spettacolo emergeva anche che la percezione del cambiamento climatico ce l’abbiamo solo quando tu leggi che si rischia che la temperatura aumenti “di uno o due gradi” quando tu, col termostato, cambi la temperatura in casa tua persino di cinque o dieci  gradi e non te ne rendi neanche conto.

Insomma, la percezione di che cosa significhi ogni nostro piccolo gesto a livello di impatto globale rispetto al quotidiano è qualcosa che un po’ sfugge, quindi serve anche un modo per catalizzare l’attenzione sul problema, problema  di cui possiamo solo stimare gli effetti e tentare di prevederli, ma non mi sento di dire che questo sia un meccanismo efficace. È efficace nel  momento in cui si vuole attirare l’attenzione e volgere lo sguardo anche su questi problemi. Ed una volta che hai guardato,  non muoverti più con la pancia! Comincia a studiare, crea conoscenze e prova a capire qualcosa di più! Ecco, mi sento di dire questo: è un’azione che deve far girare lo sguardo, ma non è per niente sufficiente  se, appunto,  poi crea quel meccanismo solo di allarme senza azione,  allora è poco efficace.

Anche perché qui stiamo parlando di un fatto reale, non di semplici scenari da film catastrofici, e quindi è per questo motivo che bisognerebbe fin da ora lavorare perché le cose cambino. Che dite?

Sì, assolutamente! Il problema è che non è che sta avvenendo esattamente questo e altre emergenze che sono nel frattempo sorte dal punto di vista politico e militare, spostano ulteriormente il percorso dal miglioramento. Ad esempio, pensa alla fatica inutile che tu puoi fare per ridurre le emissioni in un condominio, se nel momento in cui passa sopra di te un caccia, che ne produce tantissime, tutto quello che hai realizzato nel giro di due minuti viene vanificato. 

E per concludere, assieme a “Addio ai ghiacci” di Peter Wadhams, c’è qualche altro scritto che ci mette in guardia sul riscaldamento globale che vi ha colpito e che ci consigliate? Un po’ come quelli che avevamo visto  nelle vostre slide, quindi “La grande cecità” e quello di Ian McEwan, “Solar”.

Sì, i testi che abbiamo consigliato ai ragazzi sono quelli che ci hanno colpito di più nel lavorare a questo spettacolo. Il primo è quello che si chiama “La grande cecità” di Amitav Ghosh, un saggio di letteratura e politica che si interroga proprio sul come raccontare il cambiamento climatico e su come la letteratura fa fatica a raccontare il cambiamento climatico, con riflessioni sulle difficoltà politiche del cambiamento.

L’altro è un romanzo che s’intitola “Solar”, di Ian McEwan. Quindi è un romanzo sul tema del cambiamento climatico”.

E l’ultimo, che è quello che legge Sebastiano alla fine, è una raccolta di saggi che si chiama: “Ecosofia” di Raimon Panikkar

“Ecosofia” ?

Sì, e che è molto interessante, esamina la faccenda da un altro punto di vista, cioè il rapporto uomo-umanità / uomo-natura dal punto di vista della Terra, a livello molto più generale.È una visione un po’ più olistica, insomma.

Molto bene! Signori, a nome di tutto il giornale Wemoro vi ringraziamo per averci dedicato il vostro tempo. L’intervista si conclude qui, ma prima di salutarci ci teniamo a sapere una cosa… tornerete a trovarci, prima o poi? 

 Speriamo proprio di sì! Lo spettacolo fa parte di una rassegna di teatro che ha ancora due appuntamenti ad aprile. Noi saremo qui per accogliere il pubblico, per preparare gli spettacoli e quindi speriamo di vedere comunque agli incontri di nuovo tante persone ed anche qualcuno di voi, magari!  

“E allora, professori, prendete nota! RICHIAMATELI! Perché questi sanno quello che fanno!”

Data intervista: 29/2/2024

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *