di WENDBE YAMBA SYLVESTRE e MARCO MONDELLO

Anche quest’anno il Moro ha celebrato la Giornata della Memoria dedicando uno spazio speciale alle classi quinte, guidate alla riflessione dal professore Antonio Rinaldis e dalla professoressa Giulia Buonfantino.

Tutti conosciamo il dramma della Shoah, affrontato nel corso della nostra  vita scolastica attraverso film, documentari e discussioni guidate alla triste scoperta degli orrori dei campi di concentramento. Interessante, questa volta, l’approccio con cui é stato costruito il percorso: una serie di spunti a partire da un libro, scritto proprio dal prof. Rinaldis, sulla sua esperienza personale di accompagnatore di un gruppo di studenti del Moro lungo le tappe difficili del  “treno della memoria” nella sua edizione del 2016 .

Nello stile del professore, la partenza é stata subito potente: non un freddo elenco di date o nozioni, ma una domanda di fondo davvero spiazzante: siamo, potenzialmente, tutti nazisti anche oggi? E se subito, apparentemente, la nostra risposta é “no” le parole di Rinaldis e le lettura della Buonfantino ci hanno fatto intravedere un’altra verità. 

Naturalmente non nel senso storico del termine, ma in un  significato più ampio di odio, xenofobia e discrimazione che contraddistingue la nostra civiltà odierna: con questa chiave di lettura gli esempi che lui ci ha fornito  possono essere davvero paragonati ai comportamenti tenuti negli anni quaranta da chi, come noi oggi, si riteneva estraneo al male.

Immagine Pixabay

Da buon filosofo ci ha posto quesiti, ci ha fatto riflettere, non ci ha dato risposte “preconfezionate”, ma ci ha offerto tutti gli strumenti per arrivare ad una soluzione personale, magari diversa per ciascuno di noi. Risposte che arrivavano anche dalle immagini, a memoria di esperienze forti, come, come ad esempio l’opera delle scarpe di bronzo a Budapest, fatte dallo scultore Pauer Gyula, vissuta con grande commozione dai ragazzi del treno della memoria.

Al termine del suo intervento, ci ha fatto una domanda ispirandosi ad un fatto di cronaca reale: “Ai  ragazzi di Oswiecim, cittadina in cui sorge il campo di Auschwitz, nel 2011 è stato chiesto se fossero d’accordo con la proposta di una  ristrutturazione di un magazzino del campo di concentramento, per farne una discoteca. Se avessero chiesto a voi, cosa avreste risposto e perché?”

Molti dei ragazzi polacchi a cui è stata fatta questa domanda hanno risposto in modo affermativo, non perché indifferenti rispetto alla triste memoria della storia, ma per la loro convinzione di non essere affatto colpevoli delle atrocità commesse. Ed anche noi, dapprima scandalizzati dalla strana proposta, abbiamo convenuto su come sia difficile vivere la storia e la memoria. Come in tutte le cose, la verità sta nel mezzo: non si può dare la colpa ai ragazzi polacchi che, vivendo in una città come Oswiecim, legata per sempre allo sterminio degli Ebrei, vogliono solo liberarsi di un peso troppo forte  per la loro vita, ma non si può nemmeno cancellare un pezzo così eticamente significativo che la storia ci ha consegnato.

Immagine di copertina: Pixabay

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