Ciao ragazzi, siamo tornati!
Questo è il ritorno di Wemoro che, come saprete, purtroppo non ha potuto vedere nuove pubblicazioni fino ad ora per via di un grave problema tecnico.
Ricordate la Faber Teater? La compagnia teatrale torinese, che ho già avuto modo di conoscere e intervistare lo scorso anno in occasione di uno spettacolo a tema ambientale, è di nuovo passata per l’Aldo Moro, questa volta per proporre uno spettacolo incentrato sull’assassinio del primo antifascista della storia: Giacomo Matteotti. Il ciclo di spettacoli è organizzato dal sindaco di Rivarolo Martino Zucco-Chinà.
L’esibizione, messa in atto da Marco Andorno (Amadio è rimasto dietro le quinte) è stata preceduta da una semplice richiesta: il pubblico (che non può mancare in nessun modo) deve interagire, perché da la forza agli attori. Deve PARTECIPARE, essere parte dello spettacolo, perché non è come guardare una serie TV o un qualsiasi contenuto multimediale preregistrato, dove gli attori sono “virtuali” e quindi non gliene può importare cosa facciamo mentre scorre la scena.
Peccato quindi non aver potuto interagire, perché se non avessi appuntato ogni fase del monologo di Andorno, avrei immediatamente fatto tabula rasa di ogni parola (tanto poi Google me le fornirebbe in modo molto più accurato).
Volete la prova?
Sì, ero seduto in prima fila a trascrivere le battute del monologo con una sedia di plastica a farmi da tavolo, tra i sogghigni dei presenti che si chiedevano “questo cosa diavolo combina?”
Quindi: che calino le luci!
Se non volete spoiler sullo spettacolo (che poi non è uno spoiler, sarà proprio la sinossi) vi consiglio di chiudere la visione dell’articolo.
(i discorsi integrali citati nello spettacolo non saranno riportati)
10 Giugno 1924 – ore 16:30, Giacomo esce di casa con una busta gialla in mano destinata alla Camera dei Deputati. Assieme a lei la moglie, Velia Titta. Camminano fino a via mancini, dopodiché questi imbocca il lungotevere, e da lì non lo vedrà più tornare. Sa che spesso non torna a casa perché resta a dormire negli alberghi vicini a Montecitorio, ma mai era rimasto fuori senza avvisare. Il giorno dopo quindi, non avendolo ancora visto rincasare, dà la notizia al fratello di Modigliani, Giuseppe, che andrà a denunciare la sua scomparsa. Il questore però già ne era al corrente, perché riferitogli dal capo della polizia Emilio de Bono, e sapeva anche che in parlamento non si era presentato. Sulla stampa si parla quindi di “rapimento”.
Solo il giorno dopo: 12 giugno, Mussolini in Parlamento conferma le voci della sua scomparsa e promette che sarà fatta giustizia. Quello però che ancora non si sapeva è che Benito teneva in un cassetto a palazzo Chigi il suo passaporto, come se fosse un trofeo personale. Scattano quindi le indagini.
Emerge che Matteotti aveva una scorta, perché non era la prima volta che qualcuno tentava di aggredirlo fisicamente, e pure un poliziotto sotto casa, ma quest’ultimo riferisce di non aver visto nulla il giorno della sua scomparsa. I testimoni oculari quindi saranno di vitale importanza per ricostruire la scena ancora celata agli occhi degli inquirenti.
Vengono interrogati i portinai della sua abitazione: questi rivelano che il 9 giugno, alla vigilia dell’infausto evento, avevano visto una Lancia (Trikappa n.d.r.) girare intorno al loro isolato nel quartiere Flaminio, come se le persone all’interno volessero studiarlo.
L’indomani, mentre Matteotti prende la via, si dirige inconsapevolmente verso la medesima vettura, dalla quale escono due uomini che si precipitano verso il deputato per aggredirlo. Questi riesce a liberarsene e tenta la fuga, finché un terzo individuo, più robusto, non lo atterra con un pugno in faccia. Lo trascinano quindi verso la macchina e lo portano via. E il commando che lo aveva aggredito raccoglie i fogli che gli erano caduti, che si scopriranno essere un discorso che avrebbe dovuto portare il giorno dopo in Parlamento.
Matteotti si risveglia poco dopo in auto, sul sedile posteriore. Capendo di essere in guai seri rompe il vetro che lo separa dal conducente e prova a gridare aiuto, ma questi soffoca le sue urla suonando ripetutamente il clacson.
L’auto si allontana allora verso la campagna romana. Grazie ai testimoni, che avevano memorizzato la targa della Lancia (55-12169), si riesce però a risalire al veicolo incriminato. Lo trovano parcheggiato nel cortile del viminale alle ore 22 del 12 giugno perché era da far riparare. L’auto infatti non solo aveva dei vetri rotti, ma aveva i sedili posteriori sporchi di sangue. Era stata affittata da un certo Filippo Filippelli
Ma salta fuori un altro nome: Amerigo Dumini, anche noto come 11 omicidi (che tra l’altro aveva compiuto prima dei 30 anni). Alle ore 23 viene arrestato mentre si trovava a Termini e condotto subito in centrale per l’interrogatorio ma l’intervento di Cesarino Rossi, il braccio destro di Mussolini (per questo noto come n°2 del fascismo) lo fa immediatamente rilasciare. Al processo testimonia anche un certo Albino Volpi, vecchia conoscenza del Duce e membro dei Caimani del Piave. Questi “Caimani” erano un reparto di fanteria marina, i cui membri nuotavano nei fiumi tenendo un pugnale stretto tra i denti, con i quali avrebbero assalito e ucciso gli austriaci durante la notte. Sarebbe stato lui a pugnalare a morte Matteotti.
Un ora prima lui e i 4 membri della ceca fascista (Rossi, De Bono, Marinelli e Aldo Finzi, sottosegretario di mussolini), si erano incontrati in Viminale e qui avevano saputo di essere tutti compromettibili (e Dumini lo era senza dubbio). La sola cosa che potrebbe salvarli è far passare il delitto come una questione personale, ma così facendo anche Rossi verrebbe compromesso.
Il commando che avrebbe preso d’assalto Matteotti sarebbe la “Ceca Fascista”, capeggiata dal segretario di mussolini, Giovanni Marinelli.
All’epoca dei fatti infatti il fascismo non era un regime dittatoriale come invece è passato alla storia, perché era un governo di coalizione sostenuto anche dai liberali e dai popolani e che dunque aveva inevitabilmente partiti oppositori (come quello di Gramsci). E’ ancora in piedi una struttura costituzionale e legislativa liberale. E’ stato l’assassinio di Matteotti a dargli tale connotazione, perché era stato ucciso un suo reale oppositore. Ma l’intenzione di Domini era di ucciderlo davvero? E l’ordine era partito da mussolini ?
Domande che restano senza risposta. quello che però è certo è per via anche dei canti popolari che circolano nei giorni seguenti, tutti vedono il mandante dell’omicidio in lui. Alle ore 18 del 13 giugno (24 ore dopo il discorso precedente), Mussolini riparla alla Camera, sostenendo che solo lui può essere esasperato per l’omicidio.
In una lettera inviata a Gabriele D’Annunzio, Mussolini parlerà di Matteotti come di un “cadavere gettato tra le sue gambe”
Ora però una domanda è lecita. Chi era davvero questo Giacomo Matteotti?
E’ nato a Fratta Polesine (Veneto) il 22 maggio 1885 da una famiglia agiata. Si laurea in giurisprudenza e viene eletto per la prima volta in parlamento nel 1919, dove fa parte del partito socialista italiano. Era soprannominato “social milionario” o “baron matteotti” viste le sue ricchezze, con le quali amministrava le aziende di famiglia. Era però anche un pacifista, quindi contrario, per ragioni etiche, alla violenza. Si pensi quando nel 1911 si batté contro la guerra di libia o quando era contrario all’ingresso dell’Italia nella prima guerra mondiale.
Viaggiava molto, era infatti stato a Bruxelles, Parigi e in segreto a Londra a incontrare i laburisti inglesi.
Non solo, era noto per i suoi discorsi totalmente diversi da quelli di Mussolini: precisi, documentati, quasi alla pignoleria. Considerava Il fascismo come la “reazione borghese all’avanzare del proletariato” e anche se non lo comprendeva a pieno, capì subito che non sarebbe stato un fenomeno transitorio.
Il 6 aprile 1924: alle elezioni politiche il fascismo ottiene il 66% dei voti. Matteotti non ci sta e il 30 maggio alla Camera dei Deputati ottiene la possibilità di parlare al pubblico. Inizia un lungo discorso nel quale contesta il risultato delle elezioni e denuncia la corruzione e l’illegalità adottate dai fascisti per avere così tanti consensi.
Gli altri deputati provano a fermarlo in ogni modo, ma Giacomo è impassibile
Finito il suo intervento queste sono le sue parole:
«Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me»
Come se sapesse che questa orazione potrà costargli la vita.
Non ha tutti i torti: Mussolini definirà il suo discorso “mostruosamente provocatorio”. Non a caso, quando il 3 giugno successivo a Montecitorio partirà una caccia all’uomo per trovarlo il collegamento con il discorso di 4 giorni prima è immediato. Si apre tuttavia un’altra pista: quella affaristica. Questa l’ipotesi del giornale fascista “nuovo paese”, che scrive che Matteotti avrebbe dovuto presentarsi in parlamento per porre un discorso di critica alla “Sinclair Oil”.
La Sinclair Oil è una società petrolifera americana, che da qualche mese premeva Mussolini affinché avesse l’esclusiva per la ricerca del petrolio in Italia. La società, che era in patria nel mezzo di uno scandalo per corruzione, aveva ottenuto l’accesso ai porti italiani il 1° maggio del 1924.
Matteotti, che all’inizio non era interessato al tema, indaga una volta tornato dal suo viaggio segreto a Londra. inizia a passare intere ore chiuso nella biblioteca della camera. I suoi colleghi di partito pensano quindi che stia preparando un discorso molto “pesante”. Difatti, mentre è a Milano scrive a un amico “ho pronta un’altra cosetta” ma non può rivelargli cosa sia.
Intanto però, le ripercussioni del delitto di Matteotti sono subito evidenti: il partito fascista perde rapidamente consensi, molti sostenitori iniziano a bruciare le proprie tessere pubblicamente. E i deputati delle opposizioni abbandonano i lavori in aula, dando origine alla “secessione dell’aventino”.
Mussolini non reagisce, tuttavia consiglia ai suoi 4 colleghi di dimettersi da ogni incarico e questi. Ma questo non basta, la gente invoca le SUE dimissioni e chiede provvedimenti allo stesso re, che però non interviene. Non vi è nessuna rivolta, reazione o altro…
Arriva dunque l’estate. Solo Velia è ancora interessata a cercarlo, perché sa che non potrà più vederlo vivo, ma almeno vuole indietro il suo corpo per dargli una degna sepoltura.
Le sue richieste saranno presto ascoltate…
12 agosto 1924: ore 17 circa. Al km 18 di via Flaminia un cantoniere sta pulendo un condotto di scolo quando vede passare una specie di “volto”. Trova una giacca sporca di terriccio e imbrattata di sangue. Sul colletto della giacca, che ha la manica destra strappata, c’è la firma del salto “Palmeri”, il sarto di Matteotti.
Scattano dunque le indagini nella zona attorno al canale. Finché sabato 16 agosto, alla stazione dei carabinieri di Riano si presenta un brigadiere, Ovidio Carapelli. Riferisce di aver trovato in una fossa il corpo di matteotti.
Si dirigono verso il bosco della Quartarella, dove rinvengono uno scheletro. In una fossa che è troppo stretta per nascondervi il corpo, per cui lo hanno dovuto piegare e schiacciare. Il corpo è ormai decomposto, ma grazie all’impronta dentale si ha la conferma che è proprio Matteotti.
La perizia scopre anche che analizzando le macchie di sangue sulla giacca, era stato ucciso non da un’emorragia, come vuole far credere Dumini, ma da una ferita da arma da taglio inflittagli nella zona toracica mentre era seduto in macchina.
Ci sono però molti dubbi sulla vicenda o incongruenze nelle testimonianze…
Il corpo si era effettivamente decomposto nella buca dove era stato rinvenuto, ma la sua giacca non poteva essere nel canale da altrettanto tempo. Era lì al massimo da qualche giorno.
Quello che si sa è che il cantoniere dopo aver trovato la giacca corre alla stazione dei carabinieri di Sacrofano e la consegna al capostazione, che ordina a due ferrovieri di informare del ritrovamento alla caserma vicina, Prima Porta. Non riescono però a tornare ad avvisarli a causa di un contrattempo. Il mattino dopo il comandante Pallavicini insieme a Carapelli si presenta alla stazione di Sacrofano per recuperare la giacca, il che però è strano siccome nessuno lo aveva avvisato.
Come faceva a saperlo? Per rispondere si fa affidamento agli interrogatori:
Pallavicini dirà di averlo saputo per caso, perché aveva sentito dei viaggiatori parlarne, ma Carapelli racconta di aver incontrato il comandante per caso in treno, e dopo aver sentito dei passeggeri parlare del ritrovamento della giacca sarebbero scesi alla stazione di Sacrofano per prenderla. I due però viaggiavano in direzioni opposte e non potevano essersi visti. Gli investigatori, insospettiti, li interrogano di nuovo ma i due cambiano versione, per di più continuando a contraddirsi. Non si riuscirà quindi a risolvere il dilemma perché l’interrogatorio viene interrotto.
Si torna quindi a Carapelli. Interrogato sul ritrovamento della salma, prima racconta di averlo trovato per caso, poi in un secondo momento racconta che mentre girava per il parlo il suo cane, sentendo un forte odore di putrefazione, si sarebbe precipitato verso la buca e avrebbe scavato fino a disseppellire le ossa di Matteotti. Corre quindi alla stazione per avvisare Pallavicini ma il cantoniere riferisce di non aver visto nessun segno di scavo. E se alcune ossa erano state dissepolte dagli animali selvatici chi si sarebbe occupato di riposizionare la terra, dato che la fossa verrà scoperta intatta? Questa storia rimane un mistero tuttora.
Intanto, il corpo di Matteotti viene portato a Riano per i funerali, ma Velia si oppone ai funerali pubblici, per questo si terranno nel suo paese natale, Fratta Polesine, dove saranno seguiti da un’enorme folla, il 21 agosto.
Turati aveva provato a convincerla a farlo seppellire a Roma, anche solo provvisoriamente, ma Mussolini aveva ordinato dei funerali che non facessero rumore. Oltre a ciò, ordinerà di far chiudere la sua urna con piombo e cemento e di far identificare chiunque vi si rechi. Insomma, di non far più parlare di lui.
Le ipotesi sulle cause del suo omicidio sono tre:
- complotto legato all’affarismo
- movente politico (conseguenza del suo discorso, come già detto).
- petrolio, cioè l’impedirgli di pronunciare in parlamento un discorso volto a denunciare i casi di corruzione della Sinclair Oil.
Nessuna di queste però è dimostrabile.
L’opinione comune del tempo è che il fascismo si autofinanziasse nei suoi primi anni di vita e che raccogliesse fondi in modi disperati. Una via più efficace però ci sarebbe stata: Mussolini seguiva personalmente le trattative che portavano alla convenzione Sinclair e parte delle transazioni provenienti dalla compagnia finivano nelle casse del giornale del fratello Arnaldo: “Il Popolo d’Italia”. Il giornale era per il fascismo una vera e propria macchina da soldi. Matteotti doveva avere scoperto tutto questo durante il viaggio a Londra…
A ripova di quanto detto, negli anni ‘90, gli storici rinvengono un articolo della rivista inglese “English Life”, pubblicato in origine nel luglio ‘24. Un articolo scritto da Matteotti stesso, preso dalla voglia di studiare questo affare Sinclair.
Perché gli inglesi gliene avrebbero parlato?
[Legge l’articolo]
Si fa avanti allora l’idea che Mussolini abbia ordinato il suo assassinio in preda ad uno scatto d’ira. Che sia un mandante frainteso? Quali erano davvero le sue intenzioni? Qualunque sia la risposta non si sono delle prove. In ogni caso il duce è il responsabile morale di quanto avvenuto, il responsabile del clima che ha portato all’omicidio di Matteotti. E proprio questa responsabilità si assume durante il discorso del 3 gennaio 1925, che da’ origine al fascismo. Si dichiara dunque a capo di questo movimento e di tutte le cattiverie che commette.
Lo spettacolo si chiude con un canto popolare che narra la vicenda.
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Cosa dire? La performance di Marco Andorno è stata magistrale. Non ha avuto bisogno di particolari pause, se non per idratarsi, per 75 minuti. E ha saputo illuminare il suo pubblico oltre che intrattenerlo con informazioni non facilmente reperibili. Non potevamo che essere grati per averlo ospitato. Allora ho approfittato della situazione:
E con questo scatto si chiude il ritorno del nostro giornalino. Grazie a tutti per la lettura.